Noi Verdi, il leghismo e la scalata al Governo
/L’editoriale di Fabio Pontiggia (Elezioni, una partita a cinque, «Corriere del Ticino» del 30 gennaio scorso) mi consente di sottoporre ai lettori alcune considerazioni.
Innanzitutto ringrazio il condirettore del «Corriere» per aver inserito i Verdi tra i cinque protagonisti della sfida elettorale. Conoscendone il rigore professionale sono sicuro che lo abbia fatto sulla base di dati oggettivi e accurate riflessioni; non certo per simpatie personali e tantomeno politiche. Ed essere tra i protagonisti della campagna elettorale per noi significa che il lavoro prodotto dai Verdi negli ultimi quattro anni, e l’approccio con cui ci presentiamo agli elettori, ci rende avversari credibili su una scacchiera dove ci confronteremo con i colossi della politica ticinese.
Detto questo mi preme precisare alcuni aspetti. Penso di essere l’ultima persona in Ticino che tifa per un ritorno della maggioranza liberale radicale in Governo. Già nel 2011 auspicai la fine del secolare dominio PLR sull’Esecutivo. Un dominio che, soprattutto nell’ultimo ventennio, in complicità con gli altri partiti storici e con le politiche europeiste, ha prodotto la grave crisi ambientale e occupazionale che stiamo vivendo. E se mi è consentito per un istante indossare il cappello dell’analista politico, non credo che il PLR riconquisterà il secondo seggio in Consiglio di Stato. Ma non perché i Verdi consolideranno le loro posizioni e «strapperanno molti voti alla Lega». Piuttosto perché ritengo che si andrà verso un rafforzamento di tutte le forze politiche euroscettiche, che già sono maggioranza nel voto d’opinione.
Pontiggia traccia una similitudine tra la ricetta leghista e quella dei Verdi. Mi permetto di dissentire. È vero che ormai parecchio tempo addietro (correva l’anno 2009), con l’umiltà di chi sottopone le proprie opinioni al giudizio dei fatti il nostro movimento si schierò apertamente contro i disastri della libera circolazione e più in generale contro il dominio dell’UE delle multinazionali, delle banche e della finanza, che schiavizza i popoli e vorrebbe dettar legge in un Paese come la Svizzera che non fa parte dell’Unione europea. Ma è altrettanto vero che nel suo ultimo decalogo è invece la Lega a proporre misure ambientali che i Verdi avanzano ormai da decenni. E per me questa è una bellissima notizia e rappresenta un punto di vera svolta per la politica ticinese. Non mi sento affatto scippato dei «nostri» temi. Ho sempre pensato che non avesse molta importanza chi diceva per primo una cosa. Ciò che conta sul serio è creare il consenso necessario sulle buone idee per avere una maggioranza. Di conseguenza non ho nessun problema a rendere il giusto merito a Giuliano Bignasca che per primo aveva intuito la valanga che ci sarebbe venuta addosso con la libera circolazione. E sono certo che molti leghisti sono pronti a riconoscere ugual merito ai Verdi in materia di traffico, devastazione del territorio, eccetera. Anche perché le due cose sono legate: una delle maggiori battaglie ambientali dei prossimi anni sarà, anche e soprattutto, quella contro il modello economico portato avanti dall’UE e la globalizzazione in generale: un modello che schiavizza le persone e distrugge l’ambiente.
Detto questo la Lega è un movimento che si schiera fieramente nel centrodestra, così come i Verdi si schierano con convinzione nella parte progressista. In quest’area solo grazie ai Verdi esiste una forza di dura opposizione all’Unione europea che in altri Paesi è invece largamente rappresentata. Pensiamo a Tsipras in Grecia (che si è saggiamente alleato con la «Lega greca» per realizzare il suo programma e combattere la Troika) o a Podemos in Spagna (il cui nome non a caso riecheggia lo slogan della nostra campagna: «Sì che si può»). È sufficiente leggere alcune delle nostre proposte programmatiche per capire che l’area di riferimento dei Verdi è quella progressista: contingenti e salari minimi subito e no all’accordo truffa tra Svizzera e Italia, moratoria per la costruzione di capannoni di logistica, no al raddoppio del Gottardo, un tetto agli stipendi dei super manager e super funzionari pubblici, rinuncia al vitalizio che oggi percepiscono i consiglieri di Stato, una cassa malati pubblica intercantonale, asili nido e mense per tutti, sostegno pubblico solo a quelle aziende che assumono residenti e pagano salari dignitosi, protezione giuridica gratuita per i docenti, un «sussidio sicurezza» per chi non ha i soldi per proteggersi da solo, fortissimo impegno per la parità di genere. Il nostro programma parla chiaro.
È con queste proposte concrete che ci sottoponiamo al giudizio dei ticinesi, a cui chiediamo l’opportunità di metterci alla prova per dimostrare che anche in Governo, come fatto in Parlamento nell’ultimo quadriennio, manterremo le promesse e terremo la schiena dritta rispetto agli impegni presi con gli elettori. Non credo, come scrive Fabio Pontiggia, che la nostra sia «un’impresa disperata». È senza dubbio difficile, ma per noi non esistono elezioni facili. Noi affrontiamo questa sfida con ottimismo, con la forza delle idee e con la convinzione che si può costruire un Ticino forte, libero e indipendente. Al contrario di chi, mostrando sul serio segnali di disperazione, vuol solo mantenere la cadrega a costo di sacrificare la storia centenaria, e i valori, del proprio partito.
Sergio Savoia, coordinatore dei Verdi del Ticino
candidato al Consiglio di Stato
L'opinione è apparsa sul "Corriere del Ticino" del 7 febbraio 2015