Quante volte ancora?
/Scatta la seconda interrogazione, dopo quella del PLR di Mendrisio, sulla Giorgio Armani Swiss Branch, la quale starebbe trasferendo e licenziando 130 dipendenti dalla sua sede nel capoluogo momò. Questa volta però è indirizzata al Consiglio di Stato. A inoltrarla sono i deputati dei Verdi Michela Delcò Petralli e Francesco Maggi, i quali chiedono quanti altri "Armani" ci sono in Ticino.
"La notizia lascia basiti" commentano i due deputati, "soprattutto per il fatto che l'azienda è attiva in Ticino da ben 20 anni, 20 anni durante i quali ha beneficiato di un tasso di imposizione privilegiato ma che non sono bastati per sviluppare quella responsabilità sociale e quell’attaccamento al territorio che sono il presupposto per uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile".
Tra le motivazioni addotte dall'azienda per il trasferimento vi sarebbero infatti il tasso di cambio del franco con l'euro, "che è comunque risalito attorno a 1,10 franchi", sottolineano Delcò Petralli e Maggi, e la Riforma III delle imprese che prevede un aumento delle imposte per le società "che finora hanno beneficiato di regimi fiscali speciali e nel contempo un alleggerimento fiscale per tutte le altre imprese sottoposte a tassazione ordinaria".
La Giorgio Armani non è la prima ditta di moda internazionale che abbandona la regione appena terminati i privilegi fiscali, evidenziano Delcò Petralli e Maggi, i quali si chiedono "quante imprese ancora seguiranno il suo esempio".
"La moda" proseguono i due deputati, "è uno dei settori definiti promettenti sui quali il cantone vorrebbe concentrarsi per lo sviluppo economico futuro. Si tratta di una scelta strategica particolarmente importante per il Mendrisiotto perché vi sono concentrate la maggior parte delle aziende di questo meta-settore e perché è la regione che più ha pagato in termini di traffico, inquinamento, calo della qualità di vita e perdita di spazi verdi, tutto questo descritto come il “successo economico” ticinese degli ultimi anni".
A tal proposito i due interroganti citano uno studio condotto dal prof. Mauro Baranzini intitolato "Oltre metà del guado", nel quale si apprende che "circa 2’000 dipendenti del settore sono occupati nella produzione e altri 2'000 in altre componenti della filiera come la logistica e la progettazione. Per quanto riguarda la produzione, sappiamo che oltre il 70% dei salariati ha un livello primario (in aumento dal 2008), circa il 75% proviene da oltrefrontiera e che il salario mediano è calato in termini nominali del 16,4% fra il 2012 e il 2008".
"Difficile credere" ribadiscono Delcò Petralli e Maggi, "che questa componente del settore moda sia in grado di offrire quei posti di lavoro di qualità che le autorità ci hanno promesso. In mancanza di dati precisi sulle altre componenti del settore moda, possiamo basarci solo su informazioni frammentarie da cui emerge un quadro poco allettante. Secondo quanto ha affermato il presidente dell'Associazione ticinese imprese di spedizione e di logistica (ATIS), i frontalieri rappresentano oltre il 50% anche in questo ramo e i contratti minimi del CCL partono da 3'000 franchi. Dai dati dell’Ufficio cantonale di statistica emerge che anche nel commercio all’ingrosso (quindi anche quello di calzature e abbigliamento) che il numero di lavoratori d’oltreconfine è quasi raddoppiato dal 2004 e che ora rappresentano circa un terzo degli addetti. In questo settore è stato necessario decretare un Contratto normale di lavoro, con salari minimi da 17,30 franchi l’ora, perché sono stati comprovati casi gravi e ripetuti di dumping".
I due concludono facendo notare che nel Mendrisiotto ormai oltre la metà dei posti di lavoro è già attualmente occupata da lavoratori d’oltrefrontiera e i terreni liberi nelle zone di attività sono solo il 14%. "Per evitare di commette gli stessi errori del passato e di attirare imprese che poi assumono solo personale lombardo a salari lombardi è di vitale importanze per il Mendrisiotto ma anche per l’intero cantone disporre di informazioni più precise" ribadiscono Delcò Petralli e Maggi.
Pertanto chiedono al Governo: "Quante sono le imprese attive nel settore moda e a quale componente appartengono: produzione, logistica, progettazione e marketing? Quanti i posti di lavoro per ogni componente? Quali sono i livelli salariali? Quale è la percentuale di dipendenti residenti? Quante sono le imprese che beneficiano di regimi fiscali speciali o di sgravi fiscali? Qual è il tasso di occupazione del territorio destinato alle attività della moda? La decisione annunciata dall’impresa interessa ambedue le società Giorgio Armani con sede a Mendrisio, o soltanto una. Semmai quale? Nello specifico del caso Armani, quali saranno le conseguenze della decisione di delocalizzazione? In particolare quali le conseguenze per le assicurazioni sociali (quanti saranno i dipendenti che avranno diritto alla disoccupazione), quali quelle per il territorio (strutture dismesse) e quali quelle sull’introito fiscale comunale e cantonale (perdita di gettito fiscale)? Più in generale il CdS può già stimare le conseguenze per il gettito fiscale della riforma III delle imprese?"