una mezz'ora che fa male...
/"Un timido aggiornamento per regolamentare e garantire alcuni aspetti fondamentali": così i grossi commercianti definiscono la nuova legge sugli orari di apertura dei negozi. Cosa volete che sia mezz'ora in più? ci dicono. Effettivamente per i clienti non cambia nulla, tanto più che il 90% raggiunge i centri commerciali in auto e visto il traffico che c'è alle ore di punta nessuno garantisce arriveranno a destinazione per tempo. Per il personale invece è ben diverso: quando i grandi distributori assicurano che ai dipendenti non sarà chiesto di lavorare un minuto in più dimenticano di dirci che chi lavora nel settore del commercio al dettaglio on è protetto da un contratto collettivo può essere impiegato su un arco di 14 ore in un giorno con varie pause. Significa che può iniziare a lavorare alle 6 di mattina e finire il turno solo alle 20 e l'orario settimanale può raggiungere le 50 ore. È questo che prevede la legge federale sul lavoro del 1964, ed ancora più vecchia di quella ticinese sull'apertura dei negozi che risale al 1968. Non si capisce quindi come mai i rappresentanti della grossa distribuzione, che tanto invocano una "regolamentazione" degli orari e disposizioni "più moderne", poi invece definiscano demagogia chiedere che anche le condizioni di lavoro vengano adeguate e regolamentate.
Dal 1968 gli orari di apertura dei negozi si sono allungati di un bel po': rimangono aperti sul mezzogiorno, il sabato fino alle 18, il giovedì alle 21, poi sono state concesse deroghe per le domeniche prima di Natale, per le manifestazioni speciali, ecc. La protezione dei lavoratori invece no, non si è ampliata, anzi è peggiorata. Nel settore della vendita infatti negli ultimi anni si sono moltiplicati i contratti su chiamata e precari e i casi di dumping. I salari minimi del Contratto normale partono da 3'010 franchi lordi al mese. Non a caso il commercio è diventato uno dei settori più problematici per la sostituzione della manodopera residente: il numero di frontalieri dal 2004 è più che raddoppiato raggiungendo quota 5'516 nel III trimestre 2015 anche se il numero dei posti di lavoro è rimasto praticamente invariato (circa 15'000 impieghi, equivalenti a 12'000 posti di lavoro a tempo pieno). E non solo per mancanza di personale residente visto che in media nel 2014 c'erano 526 disoccupati iscritti agli URC per il settore della vendita.
La tanto citata liberalizzazione totale degli orari di apertura in certi cantoni, come Zurigo e Argovia, non ha in nessun modo frenato il turismo della spesa. Basti pensare che l'anno scorso le dogane tedesche hanno dovuto trattare circa 16 milioni di richieste di rimborso IVA presentate da svizzeri che acquistano oltre confine. Fintanto che in Svizzera importatori e fornitori potranno applicare ai prezzi dei prodotti all'ingrosso un "supermargine" che fa lievitare i costi la situazione non cambierà. In Ticino il salario mediano è di 1'000 franchi in meno rispetto al dato nazionale, un quarto della popolazione vive in un'economia domestica con un reddito inferiore alla soglia del rischio di povertà e gli stipendi reali medi e bassi sono calati. Tenere aperto di più non servirà certo a far aumentare il potere di acquisto della popolazione.
Questa nuova estensione degli orari di apertura avvantaggerà ancora una volta i grandi centri commerciali, gli stessi hanno approfittato dell'apertura straordinaria il 27 dicembre e che sono aperti il giovedì sera. I consumatori invece vorrebbero più commerci di prossimità, come dimostrano i sondaggi e il successo della catena di negozi di paese Volg in Svizzera tedesca. Questi commerci sono spariti dai centri cittadini anche nel periodo 2001-2008 a causa della concorrenza delle grandi catene e non del franco forte visto che l'euro allora valeva più di 1,60 franchi. Ci si sarebbe aspettati almeno che i centri commerciali, principali beneficiari della legge, accettassero di contribuire a ridurre il traffico che generano e invece no: hanno lanciato un referendum contro la tassa di collegamento facendo credere che sia un balzello contro i ticinesi. In realtà quei costi sono anni che li paghiamo noi tutti perché il traffico, l'inquinamento, gli investimenti per l'ampliamento delle strade e i trasporti pubblico sono a carico di tutti i contribuenti.
Questa legge non ha proprio nulla del "compromesso equilibrato": sono state accolte le rivendicazioni dei grossi gruppi del settore, senza chiedere nulla in cambio e ancora una volta i tanti bei discorsi sulla responsabilità delle aziende verso il territorio e la promozione di posti di lavoro di qualità rimangono solo vaghe promesse.