Lettera aperta Dov’è Elyas? La sua Odissea non è finita!

Il Comitato cantonale dei Verdi si è riunito la settimana scorsa e ha trattato, quale tema principale della serata, il progetto di istituire in Ticino un centro educativo chiuso per minorenni. Raffaele Mattei, Direttore della Fondazione Amilcare e Membro del Comitato direttivo di Integras, ha presentato e approfondito il tema del centro educativo e durante la serata non è mancato il riferimento al tema dei minorenni che vivono in Ticino in strutture educative già presenti sul territorio.

Dalla discussione è emersa la volontà di intervenire in merito al tema dei giovani e i Verdi non mancheranno di seguire l’evolvere della discussione, non solo a proposito del centro educativo chiuso per minorenni – che ha lasciato estremamente perplesse le persone presenti – sia in termini di approccio alla realtà dei giovani in situazione di disagio, sia in termini di necessità (nel resto della Svizzera queste strutture costose chiudono).

Tra i diversi temi toccati vi è stato quello proposto con sensibilità e accuratezza dalla lettera aperta redatta da Francine Rosenbaum che vi proponiamo; pubblichiamo questa lettera, un breve tratto della storia di Elyas, nella speranza che presto a tante domande giungano appropriate risposte – interventi istituzionali adeguati nel rispetto di tutte le persone coinvolte, in primis Elyas.

Lettera aperta

Dov’è Elyas? La sua Odissea non è finita !

 Venerdì 26 febbraio, nell’Aula Magna della Scuola di Commercio di Bellinzona, 4 allievi della 3° Media, aiutati dalle maestre Sultan Filimci e Romina Mengoni, ci hanno narrato L’Odissea di Elyas del loro compagno di classe quindicenne, dall’Eritrea a Bellinzona. Ma Elyas non c’era e nessuno ha parlato del motivo della sua assenza.

I ragazzi raccontano il suo periplo lungo un anno per tentare di ritrovare suo padre disertore dall’esercito eritreo. Non avendolo riacciuffato, la polizia ha arrestato la madre di Elyas in rappresaglia, rinchiudendola in prigione dov’è tutt’ora. Con un coetaneo, Elyas riesce a fuggire dall’Eritrea. Arriva in un campo di profughi in Etiopia dove per settimane chiede invano agli altri fuggiaschi se sanno dove sia finito il padre. Va in un secondo campo, poi in un terzo dove qualcuno gli dice che il padre è fuggito in Sudan per tentare di raggiungere l’Europa.

Allora il ragazzino Elyas si aggrega a un gruppo di esuli che affrontano il deserto del Sudan fino alla capitale. Sopravvissuto a questa seconda tappa, a Khartum viene aspirato dal vortice dei passatori. Elyas ha uno zio emigrato in Israele al quale i passatori estorcono un primo riscatto per trasportarlo in Libia. In questo terzo periplo, sopravvive alla fame, alla sete e alle razzie dei predoni beduini del deserto che rapiscono gli esuli giovani per ucciderli e venderne gli organi alle cliniche occidentali. In Libia altri passatori estorcono un nuovo riscatto allo zio per farlo salire su un barcone che riesce a non affondare nel Mediterraneo prima di raggiungere la costa italiana.

Con altri minori Elyas fugge dal centro di accoglienza, incontra due autisti di bus che li trasportano fino a Roma. Non sappiamo come sopravvive a Roma nè come arriva a Milano dove altri passatori, ancora una volta, estorcono soldi allo zio per farlo arrivare a Chiasso.

Nel nostro paese, il paese dei valori umani svizzeri, Elyas passa 3 mesi rinchiuso nel centro di richiedenti asilo di Chiasso. Si viene a sapere che ha un famigliare nella Svizzera romanda ma non gli viene permesso di raggiungerlo. Viene invece trasferito all’Istituto Von Menthlen a Bellinzona dove, oltre ad essere fisicamente accudito, può andare a scuola. Per alcuni mesi, grazie al competente sostegno delle sue due insegnanti e allo spontaneo calore umano dei compagni di classe, Elyas, che parla solo il tigrigno, riesce ad acquisire sufficenti parole per abbozzare con i suoi compagni una tenue traccia della sua Odissea.

Ma ha un chiodo fisso: vuole un cellulare per comunicare via skype con le sorelle rimaste in Eritrea e vuole lavorare per rimborsare lo zio che gli ha salvato la vita. Elyas, l’adolescente sopravvissuto e traumatizzato da un mondo di adulti folli, non si fida più di nessuno, manifesta delle turbe di comportamento, non rispetta le regole dei centri e scappa per ritrovare il famigliare o qualche membro della sua comunità di origine in Svizzera.

Per queste ragioni viene punito. La punizione istituzionale, che invoca lo scopo di insegnargli i nostri valori e costringerlo a integrarsi, è di trasferirlo di centro in centro. Ora Elyas è al Piano di Peccia, in cima alla Val Lavizzara, isolato dal mondo e dalla scuola, privato anche dalla possibilità di comunicare con qualsiasi persona umanamente significativa per lui[1].

Questa misura, applicata in nome dei nostri valori anche ad altri minori senza nessun legame famigliare e traumatizzati da un viaggio terrificante che presentano ovvie turbe del comportamento, costituisce un inequivocabile maltrattamento istituzionale misconosciuto dalla nostra società civile. Questa misura avrà delle gravissime conseguenze patogene che sfoceranno nell’auto- e nell’eteroagressione.  La mancanza di un accompagnamento psicoeducativo qualificato e intensivo è deontologicamente  indegna. Come operatori dei settori psicologici, educativi, sanitari e sociali dobbiamo reagire e non doverci vergognare e poi scusare 50 anni dopo della nostra complice indifferenza!

 Mendrisio, 27 febbraio 2016

 [1] È del 9 febbraio la notizia diffusa da 20Minuti di un gruppo di asilanti scappato a piedi dal centro asilanti del Piano di Peccia. Il sindaco dice che queste persone volevano andare a Bellinzona per lamentarsi. Eppure si trovano in un bel posto, non in un bunker...Hanno 3 dormitori, docce, riscaldamento...Altri 4 minori non accompagnati fanno parte di questo gruppo.

Francine Rosenbaum
Etnologopedista
http://www.etnoclinica.ch