Un’economia verde dall’impronta leggera, anche per leggi, protocolli, regole

È sicuramente una cosa lodevole, buona, pulita e giusta chiedere che l’economia e soprattutto le scelte politiche si dotino e applichino misure che permettano di modificare l’assetto attuale del “fare mercato.” Lo è per svariati e impellenti motivi. Per i costi ambientali, sociali e di sicurezza che già ora provocano e che sempre più ricadranno sulle spalle delle generazioni future. Per i milioni di disoccupati e lavoratori precari che dovremo pagare e gestire. Ma anche perché stiamo depauperando le risorse in tempi sempre minori rispetto al tempo che al Pianeta necessita per rigenerarle; per alcune di esse, una volta finite, non potranno essere riprodotte in tempi ragionevoli. L’attuale velocità di consumo delle risorse della Terra fa si che, ad esempio, è come se ad agosto avessimo mangiato tutte le nostre derrate alimentari che ci necessitano in un anno; e che da agosto a dicembre dovremmo in pratica digiunare. Siccome non digiuniamo o razionalizziamo i nostri consumi, stiamo di fatto mangiando le scorte alimentari dei prossimi decenni/secoli.

La stessa cosa riguarda altri ambiti come quello energetico e dei prodotti consumati, che lasciano residui tossici attivi per i prossimi 500 a 10 mila anni.

Urge dunque un cambio significativo e veloce di pensiero, da tradurre immediatamente in pratica.

Ma per orientarci verso delle scelte economiche più verdi, dobbiamo però modificare, ribaltandolo, non solo il nostro modo di produrre e consumare ma anche il nostro approccio al modo di concepire certe regole e parametri.

Innanzi tutto cercando di diminuire o semplificare drasticamente tutta una serie di protocolli, leggi, ordinanze (burocrazia) che stanno inchiodando e facendo morire la micro impressa, le aziende agricole e gli artigiani; i quali sono sempre stati il pilastro di un’economia capillare che genera, mantiene e preserva milioni di posti di lavoro.

Se ne sono accorti tutti gli addetti; dalle banche agli artigiani, ai contadini.

In trent’anni d’impresa ho visto moltiplicarsi l’impegno burocratico e l’implementazione di regole che alla fine non rende niente a chi lavora e fa costare un sacco di soldi a imprenditori e consumatori, spingendo a produrre e consumare di più in minor tempo. E la scusa della sicurezza è una barzelletta che serve a far ingoiare il rospo; in realtà non serve ad essere più sicuri; in moltissimi settori basterebbero delle semplici Buone Pratiche di Fabbricazione per assicurare ai consumatori che non stanno per morire mangiando i prodotti acquistati. Soprattutto se prodotti localmente. Ma è pure importante chiedere che i consumatori ritornino a saper conoscere e gestire ciò che hanno comperato.

Ci sono degli esempi che sono a dir poco paradossali; quando ciò che messo sulla carta non corrisponde per niente alla realtà.

Ma c’è di peggio; ad esempio quando si chiede a chi produce in modo ecologico (contadini e trasformatori di prodotti alimentari) di doversi sobbarcare certificazioni molto onerose (in tempo e denaro) per poter vendere un prodotto pulito.

Immagino così un’economia verde che faccia pagare chi produce avvelenando il Pianeta, affinché con i soldi raccolti si possano annullare i costi di controlli e certificazioni di chi produce senza inquinare.

Se l’iniziativa per un’economia verde saprà proporre questo cambio di paradigma in tutti i settori, allora sarà riuscita. Avremo il coraggio civile e civico di votare a favore dell’iniziativa Verde per un’economia e una società più pulita? Avranno i politici il coraggio di fare delle scelte che rompano situazioni di monopolio produttivo e di concentrazione finanziaria sempre maggiore?