La Scuola che verrà. Considerazioni dei Verdi del Ticino

La proposta di Scuola che verrà parte da ragionevoli preoccupazioni sull’inadeguatezza dell’istituzione scolastica di fronte ai cambiamenti sociali e culturali di questi decenni. Prima di esporre alcune considerazioni sul progetto posto in consultazione, osserviamo che è senz’altro buona cosa che si torni a parlare di scuola. Certo sarebbe stato preferibile aprire un ampio dibattito prima di presentare proposte così precise, ma probabilmente gli artefici del progetto da un lato avevano una certa fretta di proporre la loro idea di riforma, della quale saranno onestamente convinti, e dall’altro temevano che un dibattito a tutto campo avrebbe potuto rivelarsi troppo dispersivo. Questo mettere il carro davanti ai buoi ha sollevato qualche giusta critica per la mancanza di una riflessione preliminare sul senso della scuola (carenza evidente nel documento posto in consultazione).

Prima di entrare nel merito di aspetti specifici, va sottolineato il contesto più ampio in cui si inserisce la trasformazione auspicata dal DECS. I sistemi scolastici si stanno sempre più omogeneizzando. Dalla scuola dell’obbligo all’università, si sta affermando, a livello europeo e mondiale, una visione sempre più utilitaristica dei percorsi formativi. In Svizzera questa pressione si è affermata con l’adozione del concordato Harmos, entrato da poco nella fase di “implementazione”. Dietro il concetto di armonizzazione richiamato dal nome, si nascondono aspetti discutibili di forte impatto come l’estensione dell’obbligo scolastico a partire dai 4 anni. O come l’introduzione di standard valutativi che spostano l’attenzione verso “competenze” misurabili e spendibili, mettendo di conseguenza in secondo piano aspetti meno quantitativi come il piacere della conoscenza o la formazione di una personalità armoniosa, empatica e critica.

Nel contempo si constata, nella formazione dei docenti, l’affermarsi di una sorta di “monocultura pedagogico-didattica” fondata sull’efficienza operativa individuale dell’allievo, che apprende essenzialmente “facendo”. In questa concezione molto pragmatica – centrata sull’acquisizione di abilità da applicare all’interno di schematiche “situazioni problema” – non trova spazio la costruzione di un sapere libero da obiettivi funzionali, che passi attraverso la discussione, il confronto, l’ascolto reciproco, la trasmissione intergenerazionale.

È alla luce di queste tendenze di fondo che dobbiamo guardare al progetto in consultazione, chiedendoci “che scuola vogliamo” (e che società vogliamo).

In apertura il documento fa riferimento ai principi di equità e inclusione e alla necessità di gestire l’eterogeneità. I Verdi non possono che condividere queste premesse.

Tuttavia le soluzioni proposte possono suscitare più di una perplessità. Uno degli aspetti strutturali più rilevanti è quello della griglia oraria. Nell’ambito di un ripensamento della scuola dell’obbligo, e in particolare della scuola media, è senz’altro legittimo, forse inevitabile, metter mano alla griglia oraria. Senza entrare troppo nel dettaglio delle proposte, preoccupa però l’ulteriore frammentazione del processo educativo prevista dalla riforma (lezioni, laboratori, atelier, settimane blocco, in un susseguirsi rigidamente strutturato). Anziché liberare le energie di chi nella scuola vive e lavora (allievi e docenti), si comprimono in una nuova gabbia, certamente diversa ma pur sempre gabbia: la struttura proposta rischia di diventare, nella sua articolazione rigida e complessa, ancor più costrittiva dell’attuale. L’accresciuta frammentazione dell’esperienza scolastica rischia poi di impoverire la relazione pedagogica che lega studenti e insegnanti e di far perdere la cognizione di ciò che unisce i vari momenti del cammino conoscitivo che dovrebbe caratterizzare la scuola. In altre parole di perdere il senso stesso della scuola e dello studio.

Quest’ultima preoccupazione è rafforzata da altre tendenze che attraversano la società e che la riforma potrebbe rafforzare: la concezione utilitaristica dell’esistenza, la compulsione consumistica, l’appiattimento sul presente. Aspetti della contemporaneità che, in un’ottica verde, non vanno certo assecondati. Della concezione utilitaristica, a cui la compulsione consumistica è strettamente legata, qualcosa abbiamo già detto. Il ragazzo che si trova immerso in una realtà scolastica molto frammentata, di cui non riesce più a cogliere il senso complessivo, sarà portato a vedere ogni attività come un elemento a sé stante, dissociato, e quindi incomprensibile se non nella dimensione della sua nuda utilità pratica. In perfetta e perversa armonia, verrebbe da dire, con il mondo in cui viviamo. Se si afferma questa percezione, allora ogni singolo frammento dell’esperienza scolastica assume valore solo nella misura in cui può essere utilizzato, consumato (per poi essere sostituito da altri “consumi conoscitivi” diventati momentaneamente più attraenti). Frammentazione che produce perdita di senso, dunque. Questo può essere il risultato indesiderato di una “personalizzazione” della scuola che, dato il contesto, potrebbe tradursi in qualcosa che sarebbe meglio chiamare “consumo individualizzato dell’offerta scolastica”. “Personalizzazione” è un concetto centrale della Scuola che verrà. La spiegazione data dal documento è quanto mai oscura: «la personalizzazione potrebbe essere concepita come ‘una costellazione di argomenti pedagogici cruciali’ che costituiscono un vasto paradigma di riferimento, nel quale confluiscono sia teorie cognitive e pedagogiche sia elementi di attualità. La personalizzazione potrebbe insomma essere considerata come un fil rouge per la costruzione della scuola del futuro» (!, p. 12). Poi, in forma un po’ meno fumosa, si dice che «la personalizzazione nella scuola crea situazioni educative che contribuiscono a dare all’allievo una soggettività e che mirano allo sviluppo della sua personalità e della sua identità». L’intero impianto organizzativo sembra però più teso a far emergere le abilità individuali che non a favorire lo sviluppo della personalità (che è tutt’altra cosa). A dare forza a questa impressione è la centralità, già imposta da Harmos, del concetto di “competenza”, che sposta l’attenzione e la valutazione dalla dimensione olistica (che è propria della visione verde dell’uomo e del mondo) a una concezione più ossessivamente tassonomica e meccanicistica, che frammenta, separa e cataloga conoscenze, abilità e attitudini. Con il rischio concreto che questa scuola della “personalizzazione” finisca per certificare le differenze di partenza, invece di ridurle. Non è questa la scuola che vorremmo.

D’altra parte, lo ripetiamo, nemmeno quella attuale è la scuola che vogliamo. Parecchie reazioni negative al progetto provenienti dall’interno della scuola sembrano essere dettate da un istinto difensivo e conservatore. Non condividiamo l’opposizione di principio al cambiamento. Capiamo però molte delle preoccupazioni che La scuola che verrà genera tra i docenti, che dovranno far fronte agli accresciuti impegni legati alla complessità organizzativa del sistema e a modalità valutative onerose e orientate essenzialmente a certificare “competenze” lontane dal senso più profondo del “fare scuola”. A proposito dei docenti aggiungiamo che anche la loro “personalità”, la loro “identità”, le loro “differenze”, la loro “eterogeneità” – per riprendere concetti presenti nel progetto – andrebbero rispettate e valorizzate, mentre rischiano di venir soffocate da un’impostazione della scuola che sembra concepire una sola pedagogia possibile (a p. 15 si elencano “varie forme didattiche”, ma qui intendiamo qualcosa di diverso, che ha a che fare con l’autonomia del docente nell’elaborare le proprie strategie didattiche). La scuola auspicata dai verdi vorrebbe essere biodiversa anche su questo piano.

In conclusione: sulla necessità di un ripensamento della scuola dell’obbligo ci dichiariamo certamente d’accordo. Sui principi generali che vorrebbero guidare questo ripensamento, pure. Sulle modalità proposte i dubbi non mancano. Apprezziamo lo sforzo ma chiediamo un passo indietro. Che si inizi con una pubblica riflessione sulla scuola che c’è e sulla società che vogliamo. Da lì si vedrà la scuola che verrà. Probabilmente anche dopo questo esercizio la scuola che verrà non sarà quella che vorremmo noi. Ne siamo perfettamente coscienti. Ma almeno saranno più chiare le scelte politiche che determineranno quel modello di scuola (e di società).

 

 Il coordinamento dei Verdi del Ticino

Jessica Bottinelli

Nicola Schönenberger

Usman Baig

Massimo Collura