Di svolta climatica e suddivisione delle responsabilità

Cristina Gardenghi, Deputata in Gran Consiglio per i Verdi del Ticino

A partire dall’ultimo anno, complice l’attenzione mediatica conquistata dai movimenti giovanili di protesta, da Greta e dal suo forte e chiaro messaggio, il surriscaldamento climatico è divenuto un soggetto politico. Le reazioni all’interno di un movimento che da sempre reclama una maggior attenzione ai temi ambientali sono suddivise tra chi è un po’ (comprensibilmente) indispettito dall’appropriazione del problema climatico da parte di altre forze politiche a mo’ di giacchetta verde da elezioni e da chi invece accoglie con piacere e con conforto questa nuova coscienza ecologica estesa. Personalmente faccio parte della seconda categoria, che, forse un po’ naïvement, concede il beneficio del dubbio (o della fiducia) e considera questa nuova attenzione al problema climatico, nata un po’ qua e un po’ là, genuina e non meramente collegata a fini elettorali. In fondo, uno degli scopi dei Verdi è quello di sensibilizzare la politica e i singoli individui sul fatto che la degradazione dell’ambiente e il cambiamento delle condizioni climatiche è un problema di tutti e per tutti, e che qualcosa dev’essere fatto in modo repentino per evitare il collasso dell’ecosistema in cui viviamo, assicurando una qualità di vita dignitosa ad altre comunità contemporanee e alle generazioni future.

Quindi ben venga leggere prese di posizione e opinioni in favore di un maggior investimento nella diminuzione degli impatti legati al proprio stile di vita da parte di chi magari finora mai si era posto il problema, ma che con il suo scritto può raggiungere e rendere reattiva alla problematica una massa critica di cittadine e cittadini. Quello che però spesso manca in tali sollecitazioni è un appello all’agire anche su un piano più alto di quello individuale, ossia quello politico-sistemico. Se osserviamo la ripartizione delle responsabilità in termini di emissioni a livello globale, ci rendiamo subito conto che essa ricade solo per un’infimissima parte sulle spalle del singolo individuo in quanto consumatore, interessando per la maggior parte le attività di produzione o di investimento di grandi imprese.

L’azione politica è indispensabile nell’immediato per riequilibrare le responsabilità differenziate tra chi produce e chi consuma, aumentando da una parte le reali possibilità di accesso a scelte meno impattanti e più consapevoli da parte di consumatrici e consumatori, e dall’altra esigendo standard di produzione e di investimento più sostenibili da parte di chi è il maggior produttore di emissioni di gas a effetto serra e di altre considerevoli degradazioni ambientali, ossia l’industria. Un altro ambito di cui deve occuparsi per forza di cose la politica è quello della gestione degli effetti del cambiamento climatico. Un piano di adattamenti è necessario per far fronte alle nuove condizioni climatiche estreme come ondate di calore, siccità, forti precipitazioni, così come un programma di gestione dei rischi accresciuti per determinati pericoli naturali quali incendi, smottamenti e colate detritiche.

In ambito internazionale, il ruolo della politica svizzera è indispensabile per incitare e coordinare una strategia di riduzione delle emissioni e di adattamento alle nuove condizioni atmosferiche, affinché tutti i paesi facciano la loro parte (secondo i principi di equità) per lenire una problematica che non si ferma ai confini nazionali. Sul lungo termine l’obiettivo dell’azione politica sarà quello di stabilire un nuovo equilibrio tra il benessere della società e quello dell’ambiente che la sostiene, per cui sarà necessario un cambio di paradigma che non preveda più una crescita e un consumo sfrenati, perché non compatibili con i limiti fisici del pianeta su cui viviamo.

Mettere in pratica quotidianamente gesti individuali per ridurre il proprio impatto è indubbiamente importante, ma pensare che sia la sola chiave per invertire la rotta verso una società a impatto zero è una pura illusione: ci vuole una transizione strutturata di tutta la società e di tutti gli attori economici, per la quale è necessario un progetto politico preciso. Gli inviti e le sollecitazioni anche provocatorie al mondo politico a reagire al problema del surriscaldamento climatico in tempi stretti da parte della società civile non sono manifestazioni di isterismo o mancanza di volontà di assumersi responsabilità, bensì gesti di profonda fiducia nella politica da parte di chi crede ancora nel suo valore semantico originario, ossia di “gestione della cosa pubblica”. Cosa c’è di più pubblico che il pianeta sul quale viviamo?