Frontalieri: l’inganno svelato

L’inganno è svelato e i sospetti che a molti erano venuti, già nelle prime ore in cui la bozza di accordo fiscale tra Svizzera e Italia era stata resa pubblica, sono stati impietosamente confermati.

Anzi, leggendo l’illuminante articolo del Prof. Marco Bernasconi, pubblicato sul Corriere del Ticino martedì 27 gennaio, la realtà è addirittura peggiore di quanto noi scettici pensavamo.

Il nuovo accordo prevede la doppia tassazione per i frontalieri, con il conseguente abbandono dei ristorni iscritti nel patto attualmente in vigore tra Berna e Roma siglato nel 1974. Secondo quanto abbozzato tra Italia e Svizzera, il nostro Paese avrà la possibilità d’imporre “al massimo” al 70% (il resto sarà tassato in Italia) il reddito dei lavoratori di oltre confine. Ma la percentuale potrebbe essere inferiore e la si conoscerà definitivamente solo alla fine della road map concordata tra i due Paesi per concludere definitivamente l'accordo.

Vada come vada, se queste sono le premesse, l'Italia e la Confederazione stanno per rifilare l'ennesimo pacco al Ticino. Sia sul rendere meno conveniente per i frontalieri di venire a lavorare in Svizzera, obbiettivo clamorosamente mancato come annotava in questi giorni Fulvio Pelli. Sia dal profilo delle entrate per le casse del nostro Cantone. Nella migliore delle ipotesi, infatti, al Ticino resterebbero pochi milioni, da contare sulle dita di una mano. Più probabilmente il saldo per noi resterà invariato: non ci guadagneremo un franco in più. Ma potrebbe addirittura andar peggio.

All'Italia infatti non piace la recente decisione del Gran Consiglio di fissare al 100% il moltiplicatore comunale per le imposte alla fonte per i frontalieri. Un provvedimento di semplice buon senso quello preso dal Parlamento a stragrande maggioranza, che semplicemente parifica i lavoratori di oltre confine con la situazione di molti ticinesi. Ebbene, come spiega Bernasconi, se questo principio dovesse cadere, anche applicando l’aliquota massima del 70% prevista dal negoziato, il tutto si risolverebbe in un nulla di fatto. Ma se il tetto del 70% dovesse scendere, il Ticino incasserebbe addirittura meno rispetto alla situazione attuale. Una vera e propria beffa.

"Le prospettive non sono incoraggianti”, afferma il professor Bernasconi con la  prudenza che è propria degli uomini di scienza. Anche perché sulla bozza di accordo pende come una spada di Damocle la clausola anti 9 febbraio voluta dall'Italia e incredibilmente concessa dalla Svizzera: una postilla che offende la nostra democrazia diretta e grida vendetta al cielo. 

Detto fuori dai denti, l'intesa siglata tra Berna e Roma puzza di vera e propria truffa politica ai danni del Ticino e dei ticinesi. Siamo di fronte a una presa per i fondelli rispetto a un Cantone che ha versato oltre 1 miliardo di franchi all'Italia dal 1974 a oggi. E, a fronte di questo dato, si può ben dire che il nostro tributo alla Confederazione e ai suoi interessi superiori lo abbiamo lautamente pagato. Se dopo tre anni di negoziati e di suppliche da parte di Berna affinché in Ticino facessimo i bravi per farli lavorare in pace, questo è il risultato, non possiamo che cambiare strategia affinché i nostri interessi siano finalmente tutelati.    

Per questo motivo mal si comprende l'incerta e contraddittoria presa di posizione del Consiglio di Stato rispetto a questa bozza di accordo. Abbiamo ancora sei mesi di tempo per influenzare la trattativa tra Berna e Roma per cercare di ricavarci qualcosa di buono. Dobbiamo darci un mossa e dobbiamo darcela con molto più coraggio e molta più determinazione. Dobbiamo pretendere che la Confederazione la smetta di offrire il nostro Cantone come agnello sacrificale degli interessi nazionali. E dobbiamo esigere che il Ticino possa guadagnarci il giusto, non meno di 25/30 milioni. Che poi la fattura la paghi Roma o Berna poco cambia. Per raggiungere questo obbiettivo una delle poche armi che abbiamo a disposizione è il blocco dei ristorni. Un blocco che, per ragioni strategiche, andrebbe ventilato immediatamente, senza attendere giugno quando i giochi saranno già fatti e per il Ticino, ancora una volta, sarà ormai troppo tardi. 

Elisabetta Gianella
candidata al Gran Consiglio per I Verdi del Ticino