Basta fragole a Natale!

Il modo di fare la spesa è decisamente cambiato. In Svizzera e nella maggior parte dei Paesi, grazie anche a sensibilizzazioni e informazioni il cittadino è più attento a cosa acquista, alla qualità e alla provenienza. E’ più critico. Per non perdere clientela e guadagni la grande distribuzione ha reagito a questi cambiamenti di mentalità. E c’è stato il boom del bio, un marchio che si presta a varie interpretazioni in funzione del Paese di provenienza dei prodotti. I consumatori chiedevano più derrate alimentari locali e di stagione. E il locale è arrivato sugli scaffali, ma la globalizzazione dei mercati ha creato situazioni assurde: ad esempio del prosciutto svizzero passa più volte le Alpi su dei camion per essere elaborato prima in Austria e confezionato poi in Slovenia; della panna svizzera parte in Belgio o nelle Puglie per essere messa sotto pressione; della farina svizzera per il pane è mischiata a quella prodotta in Polonia.

La globalizzazione ha annullato le stagioni ! Con la scusa di voler rispondere alle esigenze del cliente ecco apparire le fragole a Natale. Ma non solo: tutto l’anno gli scaffali traboccano di frutta tropicale e frutti di bosco tipicamente estivi, ma prodotti (per noi) in Perù, Cile o Nuova Zelanda. La grande distribuzione ci ha resi dipendenti di prodotti di cui non avevamo bisogno, e ha creato una generazione che pensa che le mucche sono viola, che il latte è un liquido in scatola e che i lamponi sono come caramelle. Un mondo di consumatori disconnesso dal mondo reale dove sono prodotti gli alimenti.  

Il consumatore oggi chiede condizioni di lavoro eque invece di sfruttamento e un migliore sfruttamento delle risorse. Le multinazionali e la grande distribuzione, promettono con slogan e marchi un mondo migliore per chi lavora la terra e alleva animali. Poi bastano alcune trasmissioni TV per denunciare situazioni inaccettabili come il mare di plastica che ricopre la provincia di Almeria in Spagna dove, sotto coperture sintetiche, crescono tutto l’anno pomodori, arance e mandarini e vivono e lavorano migliaia di persone; oppure come la frutta prodotta in Israele e territori palestinesi sfruttando in modo intensivo la poca acqua del fiume Giordano. Il benessere degli animali senza allevamento intensivo è già oggi una priorità in Svizzera. Malgrado elevati criteri elvetici in materia di protezione degli animali, nei negozi troviamo ancora carne e uova provenienti da allevamenti intensivi, soprattutto esteri. Dobbiamo esigere non solo alimenti sani, ma pure condizioni di vita e di lavoro corrette sia per i lavoratori agricoli sia per gli animali. E una giusta distribuzione dei profitti fra grande distribuzione, trasportatori, aziende agricole e lavoratori. Perché pagare 1.20 frs il cesto di fragole egiziane in dicembre è un insulto.

Infine, la monocultura si diffonde sempre più: spazi agricoli e foreste tropicali necessari alle popolazioni locali sono trasformati in immensi campi dove, grazie alla distruzione dell’ecosistema, si coltivano palme per produrre dell’olio. L’iniziativa per alimenti equi vuole dunque offrire un vantaggio concorrenziale agli alimenti prodotti localmente seguendo il corso delle stagioni. È un sostegno che va a premiare alimenti freschi, sani e rispettosi dell’ambiente e del clima, e crea prossimità tra produttore e consumatore. Vuole privilegiare prodotti coltivati in condizioni salariali dignitose e migliorare il benessere degli animali.

Francesco Mismirigo, Membro di Comitato, I Verdi del Ticino (3’450 battute, spazi compresi, senza il titolo)