Il dibattito sul nostro clima

In un’indagine del 1981 (pubblicata su Acta Psychologica 47) l’88% degli automobilisti americani intervistati diceva di considerare la sua guida più sicura di quella dell’automobilista medio (mediano). Naturalmente soltanto il 50% della popolazione americana può guidare meglio dell’automobilista americano medio. Come si spiegano quindi i risultati ottenuti?

Questa distorsione cognitiva è stata chiamata “overconfidence”, ovvero eccesso di fiducia nelle proprie capacità.

Sembra che anche in Ticino, alcuni personaggi, l’uno più e l’altro meno noto, soffrano di questa distorsione cognitiva, tanto da indurli a schierarsi, su argomenti di cui non sono specialisti, contro la comunità scientifica internazionale, che attribuisce all’essere umano il problema del surriscaldamento della terra e dei conseguenti cambiamenti climatici.

A sostegno della loro opinione, producono cifre (sulle emissioni antropiche di CO2) e si riferiscono a teorie filosofiche (l’epistemologia di Popper) arcinote, dalle quali non è certo possibile dedurre logicamente che i cambiamenti climatici non sono influenzati dall’uomo e criticano un paio di pubblicazioni ambientaliste, forse le sole che hanno letto, di sicuro le sole che fanno loro comodo nel tentativo di screditare l’intera comunità scientifica.

Che non sia possibile dimostrare “matematicamente” la relazione causale tra l’attività dell’uomo e il riscaldamento climatico, è un’altra sterile argomentazione. I modelli che utilizziamo per descrivere il reale sono necessariamente probabilistici e le previsioni che ne ricaviamo contengono margini di errore. È così per i test sull’efficacia di un medicamento o sui suoi effetti collaterali, per le previsioni dell’evoluzione delle malattie infettive, per la stima dei costi assicurativi come per molti altri fenomeni. Ma non per questo, di questi modelli ne facciamo a meno.

L’attività produttiva umana ha oltrepassato la capacità del pianeta di fornire le risorse rinnovabili di cui ha bisogno, ha ridotto i giacimenti di molte risorse non rinnovabili aumentando l’incidenza dei danni ambientali che la loro estrazione provoca, ha superato le capacità della biosfera di metabolizzare gli scarti biodegradabili che genera e ha accresciuto le quantità di sostanze di sintesi chimica tossiche. Ha causato l’estinzione di numerose specie animali e vegetali in terra e in mare e ne sta mettendo a rischio la sopravvivenza di molte altre.

Stiamo vivendo a credito, intaccando il capitale naturale, utilizzando risorse di cui le generazioni future non potranno disporre.

E’ una verità scomoda e la psicologia ci aiuta ancora una volta a capire l’ostinazione di coloro che non vogliono comprenderla:

·       l’autocompiacimento, che induce ad aggiustare la realtà, facendo filtrare solo quegli aspetti che la vanità è disposta ad accettare (affermazione sociale, successo economico) e ad attribuire ad “altri” (cause naturali) le responsabilità dei fallimenti (riscaldamento globale);

·       il “wishful thinking” ovvero la tendenza a considerare vero ciò che, nel proprio interesse (economico), si vorrebbe che lo fosse.

A coloro che mai si sono preoccupati delle conseguenze ambientali delle proprie azioni, “fa comodo” pensare che i rischi ambientali che stiamo correndo abbiano cause esterne al proprio agire.

 

Fabiano Cavadini