Giustizia per gli operai di Alptransit

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Tra l’estate 2017 e l’estate 2018 sono stati posati i binari all’interno della galleria di base del Monte Ceneri, tappa conclusiva di Alptransit, la Nuova Trasversale Ferroviaria Alpina. Il tunnel del Monte Ceneri, lungo oltre 15 km, cambierà radicalmente la mobilità del Canton Ticino, dimezzando i tempi di percorrenza tra i principali centri del Cantone. L’apertura della galleria ha una portata storica perché è l’ultimo tassello per permettere di attraversare le Alpi in treno nel più breve tempo possibile. Dopo la realizzazione del tunnel di base del San Gottardo viene infatti completata quella che in Svizzera è stata definita l’opera pubblica del secolo.

 

Purtroppo però, chi ha sudato per rendere possibile quest’opera è stato costretto a lavorare in condizioni di sfruttamento brutale e sotto intimidazione.

 

A sentire i racconti di diversi lavoratori distaccati, impiegati in galleria dalle ditte italiane CGF e GEFER (che fanno parte del gruppo Rossi che ha sede a Roma), le condizioni di lavoro erano simili a quelle di 150 anni fa. I tre turni previsti sull’arco della giornata e comunicati alla Seco non sarebbero mai stati rispettati. Alcuni operai che hanno denunciato i fatti hanno raccontato di essere stati costretti a svolgere frequentemente due turni di lavoro nell’arco delle 24 ore.

Erano spesso obbligati a lavorare in galleria senza pause, mangiando un panino senza fermarsi, correndo anche pericoli per quanto riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro. Nel cantiere in media non si sarebbe mai lavorato meno di 12 ore al giorno.

C’è pure chi ha raccontato di aver dovuto lavorare, in alcune occasioni, per ben 24 ore di fila e addirittura in alcuni periodi del mese di agosto, quando erano pianificate le vacanze e la centrale di comando non era operativa. Tutto questo sarebbe avvenuto nonostante in Svizzera nel settore delle costruzioni ferroviarie esista un Contratto collettivo decretato dal Consiglio Federale di obbligatorietà generale.

Si tratta di uno strumento voluto anche per impedire la concorrenza sleale , che prevede salari minimi, 48 ore di lavoro settimanali al massimo per i lavori pianificati e turni di riposo.

 

Tra i lavoratori distaccati sul cantiere erano impiegati alcune decine di operai albanesi residenti in Italia. Alcuni di questi sarebbero state vittima di caporalato: hanno raccontato di aver restituito in contanti parte del già piccolo stipendio ad alcuni caporali i quali avevano “trovato” loro il lavoro. Coloro che invece da anni lavorano o lavoravano in Italia per l’azienda si sarebbero visti decurtare il salario per compensare il piccolo guadagno in più conseguito in Svizzera, facendosi sfruttare per almeno un anno.

 

La gloriosa opera è stata costruita da mani straniere, come sempre è stato per le grandi opere infrastrutturali in Svizzera da oltre un secolo.

In questo caso sono stati impiegati, in maniera importante, lavoratori distaccati. Si tratta di operai assunti in Italia dalle ditte di Roma citate, appartenenti al consorzio che ha vinto la gara di appalto (appalto confermato dopo una vertenza con i concorrenti giunta fino al Tribunale Federale).

 

La Generali Costruzioni Ferroviarie ha ottenuto appalti in tutto il mondo per la costruzione e la manutenzione di linee ferroviarie e metropolitane ed è già passata agli “onori della cronaca” per le irregolarità e lo sfruttamento dei suoi operai attivi in tre cantieri in Danimarca. Nel paese scandinavo CGF, messa alle strette, ha siglato accordi con un sindacato per risarcire gli operai. In assenza però di una condanna penale, CGF continua ad operare sfruttando e mettendo in pericolo lavoratori e promuovendo la concorrenza sleale a danni di ditte locali rispettose delle disposizioni contrattuali.

Continua infatti a partecipare a gare per l’attribuzione di appalti pubblici che riguardano l’armamento ferroviario.

 

 

Durante la cerimonia di inaugurazione che si terrà il 4 settembre le Autorità del nostro Paese si vanteranno di quest’opera di fronte ai loro compari di mezzo mondo, sottacendo però le informazioni descritte sopra, dimenticandosi di dire che cosa è costata, in termini umani, la costruzione di questa grande opera in Svizzera.

Noi ci saremo per dire che non si può festeggiare Alptransit senza ricordare i morti, i feriti e gli sfruttati nella realizzazione di questa grande opera, che quanto è successo non deve ripetersi e soltanto con una reale presa di coscienza delle Autorità e della popolazione ciò potrà cambiare

 

Siamo dovuti ricorrere a questa azione, che alcuni vedranno come un tentativo di infangare l’opera, ciò che non è assolutamente il nostro obiettivo, per cercare di smuovere le Autorità giudiziarie ticinesi per portare avanti l’inchiesta con la perentorietà che un caso di questa portata richiede. Quasi due anni fa i primi operai hanno preso coraggio e hanno sfidato il Gruppo Rossi, denunciando quando successo alla polizia ticinese. Da allora i lavoratori che si sono rivolti alle Autorità sono diventati una decina: tutti hanno confermato la versione di chi li ha preceduti.

Ma al momento ancora nessuno è stato rinviato in giudizio.

 

Il Procuratore generale ha atteso 7 mesi dalle prime deposizioni prima di incaricare un magistrato ad occuparsi del caso. Probabilmente lo ha fatto perché Falò (emissione della RSI) ha realizzato un’inchiesta televisiva su quanto accaduto, mostrando anche il parallelismo con quanto avvenuto in Danimarca (prima dei lavori eseguiti in Ticino) che ha attirato l’interesse della stampa nazionale. Da anni in Ticino si discute di creare all’interno della Magistratura una sezione specializzata nei reati che vanno in scena sui luoghi di lavoro, possibilmente con procuratori che hanno accumulato una discreta esperienza. Questo caso è stato assegnato ad un procuratore che prima non si era mai seriamente occupato di questo tipo di reati e che ha proceduto alle perquisizioni sul cantiere Alptransit solo due mesi dopo l’uscita della stampa.

 

Alla luce di quanto sta succedendo le cittadine e i cittadini ticinesi potrebbero concludere che fin nelle più alte sfere delle nostre Autorità giudiziarie, ci sia collusione con imprenditori avvezzi a pratiche “mafiose”, oppure che nel nostro Cantone non siamo sufficientemente preparati per affrontare casi di così ampia portata e complessità. Noi vogliamo che non ci possa essere neanche l’ombra del dubbio e che grazie alla trasparenza e al confronto si possano identificare eventuali correttivi, come potrebbe essere il rafforzamento della Magistratura, specializzando un pool di esperti in questo generi di reati.