Una mobilità a dorso di mulo
/Da zero a cento km/h in pochi secondi. SUV mastodontici sfrecciano nel deserto lasciandosi dietro una scia di polvere rossa, mentre un fuoristrada compie evoluzioni circensi nel Grand Canyon; sono solo alcune delle immagini che popolano gli spot televisivi che ci spingono a desiderare automobili sempre più grandi e performanti.
La realtà invece ci riporta drammaticamente con i piedi per terra. Strade anguste e costipate, auto perennemente bloccate in colonna e tempi di percorrenza biblici. Mediamente, al giorno d’oggi, all’interno dei comprensori urbani ogni auto trasporta al massimo un centinaio di chili di peso, per un tratto solitamente inferiore ai 10 km, viaggiando a circa 12 km/h di media. Insomma, le prestazioni del mulo. Alla faccia della pubblicità e delle tecnologie di ultima generazione.
Nonostante ciò, ognuno di noi, in cuor suo, sogna di sfrecciare su strade sgombre, confermando quanto scriveva Ivan Illich, ovvero che “colui che pretende un posto su un veicolo più rapido sostiene di fatto che il proprio tempo vale più di quello del passeggero di un veicolo più lento”. E allora che fare?
Il primo pensiero sarebbe quello di costruire nuove strade o ampliarne la portata aumentando le corsie, secondo l’assunto (non dimostrato) per il quale l’incremento delle strade corrisponde ad una rarefazione del traffico. Tuttavia questa equazione, dettata più da pigrizia che da un’osservazione oggettiva, non offre nessuna valida alternativa all’uso (smodato) dell’automobile. In più, questa misura non ha alcun effetto dissuasivo o educativo nell’ottica della promozione del Trasporto pubblico e dell’intermodalità degli spostamenti. Senza parlare del paradosso di una società che, almeno a parole, sostiene le preoccupazioni degli studenti sul clima proclamando di voler limitare le emissioni di CO2, ma, in pratica, continua imperterrita a costruire strade forse lastricate di buone intenzione ma che – come tutti sappiamo – portano ad un inferno di smog e polveri fini.
Sono altre le misure concrete che dovrebbero essere sostenute. Quali? Ad esempio, il sostegno al carpooling premiando le ditte che sviluppano piani di mobilità aziendale. In questo frangente, ben venga pure la sperimentazione del DT riguardante la corsia preferenziale in dogana per i frontalieri che condividono l’auto per andare al lavoro. Inoltre, è prioritario rilanciare la proposta di un Trasporto pubblico gratuito perlomeno per studenti, apprendisti e beneficiari di rendite AVS. E perché allora non abolire la prima classe sui treni regionali almeno nelle ore di punta (mattino e fine pomeriggio)? O perché non incentivare la creazione di una rete di bike sharing che possa contare su biciclette elettriche per collegare le periferie con i centri, rendendo più agevole anche la percorrenza dei tratti più ostici, magari creando nuovi sentieri ciclopedonali? Infine, ma questa è per ora solo un’utopia, servirebbero corsie preferenziali per gli autobus.
Da ultimo ma non per ultimo, è imperativo migliorare i rapporti e la cooperazione con i Comuni italiani di frontiera. Stando al Rapporto d’esame della Confederazione sui Programmi di agglomerato di terza generazione, infatti, il tallone d’Achille della nostra rete è proprio la mancanza di dialogo transfrontaliero. Ed è un peccato, perché in Lombardia negli ultimi anni qualcosa si è mosso: si pensi, ad esempio, al miglioramento della rete ferroviaria nel triangolo Mendrisio – Varese – Porto Ceresio con lo sviluppo di ampie aree di parcheggio adibite a park and rail.
Insomma, idee più coraggiose e maggiore dialogo ci eviteranno, forse, di dover continuare a raggiungere il posto di lavoro, spostandoci a dorso di un anacronistico mulo metallico.